Testo: Lorenza Gentile, la scrittrice
Foto: Bianca Rizzi, l’architetta
Ippolita è un’attrice con una presenza luminosa. La conosciamo per lo scoppiettante personaggio televisivo di Lucy la Single, nonché per il suo spettacolo teatrale Mia mamma è una marchesa. Oltre ad aver calcato palcoscenici in tutta Italia (e non solo), ha partecipato a programmi televisivi come Zelig e Colorado ed è comparsa in varie pellicole cinematografiche.
Alta, vestiti sgargianti, tacchi a spillo e lunghi capelli biondi; sempre la battuta pronta. Eppure chi la conosce sa che, allo stesso tempo, è una persona riservata. Nei suoi monologhi si espone molto, ma ci sono delle parti di sé che nella vita privata custodisce gelosamente. Sorride spesso, ma altrettanto spesso si fa seria, assorbita da qualche ragionamento profondo.
Noi ci sentiamo fortunate perché ci ha invitate nel suo nido, che conoscono in pochi, dove si rifugia quando vuole sentirsi semplicemente Roberta.
Le case di ringhiera milanesi hanno sempre forme particolari. È come se fossero state plasmate un po’ a seconda del bisogno, dello spazio a disposizione, dell’umore dell’architetto. Spesso formano una u, a volte sono fatte a elle, in casi come questo hanno un lato solo, rivelando ai passanti il loro interno. Saliamo al quarto piano senza mancare di notare l’edicola con la Madonnina nell’androne, elemento tipico degli edifici di quell’epoca. Ci sono anche un tavolino e una sedia di plastica al centro del cortile, che ci ricordano le vecchie pensioni marittime, dove si sostava a giocare a carte o a leggere il giornale, a commentare le notizie dal mondo.
Arrivate all’ultimo piano, Ippolita ci accoglie svolazzante, sorridente, piena di energia. “Aspettate!” dice, bloccandoci sul ballatoio, “volevo mostrarvi la tendina!”. Solleva un lembo della tapparella di legno abbassata sulla finestra della cucina e la fissa ai due manici di scopa che sporgono dai vasi appesi alla ringhiera. È una sua creazione, ci spiega, risale ai tempi del lockdown. “In realtà non fa l’ombra che volevo” confessa, “ma mi piace un casino”. Ci congratuliamo per l’inventiva. E poi è proprio carina.
Un attimo e siamo nel salotto immerso nella luce pomeridiana. È bello vedere come sia felice di aprirci la porta d’ingresso e accoglierci dentro. “Questa casa è il mio nido. Il mio rifugio. Quando sono qui abbandono la socialità, alzo la diga, come nei porti francesi dopo una certa ora, e non entra nessuno. Mi rilasso, faccio dormite di dodici ore. Torno a essere Roberta, il mio vero nome, la mia più intima essenza”.
Forse anche per questo, Ippolita non lavora mai a casa. Ci ha provato durante la quarantena, ma non è stata un’esperienza proficua. Per lei è meglio che le due cose rimangano separate.
Mentre parla, ci guardiamo intorno sorprese. Ci saremmo aspettate un appartamento esagerato come i personaggi che interpreta, un posto eclettico ed estroso. Non ci aspettavamo un ambiente così intimo e riservato. Normale, nella migliore accezione del termine. “È successa la stessa cosa anche con il mio fidanzato!” esclama Ippolita quando glielo confessiamo, “la prima volta che è entrato qui dentro è rimasto basito. Si aspettava una casa da artista, mi ha detto, più bohémienne, non da sciura!” ci racconta, tutt’altro che offesa. “Ma la follia dell’artista è dentro di me, fuori ho bisogno dell’ordine, se no non sto bene. Sono una precisina”.
Le consegnamo i nostri brutti ma buoni, che accoglie entusiasta. Li sistema in una bella ciotola sulla tavola già apparecchiata per noi con un servizio da caffè e una caraffa di porcellana dipinta a mano da sua nonna. Ci sono anche dei dolcetti al cocco. Bianca le chiede se li ha fatti lei. “Mavvà sei matta? Il reparto gastronomia del supermercato ha delle cose buonissime. Spero vi piaccia il cocco”. Ci piace ed è una tortura aspettare di fotografarli prima di poterci avventare sul piattino. Ippolita, nel frattempo, tira fuori una caffettiera minuscola, da uno, e la prepara. Poi ne farà un’altra, dice, di più grandi non ne ha. “Vivendo sola, qui dentro…” Noi, non abbiamo nessuna fretta.
“Questo sulla porta era il fiocco di uno show, che avevo attaccato a un vestito. Alla fine dello spettacolo l’ho attaccato qui. Potrebbe simboleggiare la mia nascita, quando ho cominciato a sentire mia questa casa. Oppure indicare che questa casa per me è un dono, ogni volta che ci entro”.
“Mia nonna ha passato tanto tempo della sua vita, quando era già in vecchiaia, a dipingere un servizio di piatti. Lei è di Lodi e ha riprodotto un po’ lo stile di quelle parti. Il servizio era pensato per un nipote o una nipote. Sono capitata in questa casa che mia nonna se n’era appena andata e avevo bisogno di piatti, perché non era attrezzata. La provvidenza ha deciso che fossi io quella nipote”.
“Vorrei un tuo quadro in casa, ho detto al mio fidanzato, Michele Carminati. È stato un modo per conoscerci. Sono andata al suo atelier, me li ha mostrati tutti. Lo abbiamo scelto insieme, caricato in macchina, appeso insieme. Adesso mi sembra che ci sia sempre stato.”
Feng shui o ansia?
La casa di Ippolita è composta da una salottino con cucina a vista, una camera e un bagno.
“Sono in affitto qui dal 2015. Se ne andava un’amica di mia sorella. Appena entrata non mi ha entusiasmato, a dir la verità. Aveva le pareti gialline, non c’era neanche un divano. C’era solo uno stendino”. In effetti, non so chi si entusiasmerebbe per uno spazio vuoto con uno stendino... di un altro. “Era un po’ trascurata, poco vissuta, ma mi piaceva che fosse una casa di ringhiera e poi volevo fuggire dal divano letto di mia madre, quindi avevo una certa urgenza” ride.
È subentrata subito e la prima notte non ha chiuso occhio. “Che fosse un problema di orientamento del letto? Non facevo che ripetermi, girandomi e rigirandomi tra le lenzuola. Forse dovevo studiare il feng shui? Ho assillato tutti i miei amici nei giorni successivi…” In effetti, il letto non era orientato a nord. Spostarlo ha aiutato l’armonia spaziale della stanza, ma non ha risolto la sua insonnia. “Certo che no!” ci dice, versando il caffè nelle tazzine. “La verità è che non dormivo perché avevo preso quella scelta di petto. Avevo mille euro sul conto e l’affitto costava più di seicento. Mi son detta: goditela questo mese e poi dai la disdetta”. Leggendo i salmi, però, una di quelle notti, ha trovato una frase che l’ha molto colpita. “Fai del bene e avrai sempre una casa”. Da quel momento si è tranquillizzata e focalizzata sul suo lavoro. Le sono stati offerti dei ruoli e non le sono mai mancati i soldi per pagarla. "Non era il feng shui, era l’ansia”.
‘Leggendo i salmi’ è una delle frasi che puoi tranquillamente sentir dire a Ippolita, tanto quanto una parola un po’ scurrile o una battuta sagace, sia sul palco, che nella vita. Ed è proprio questo di lei che ci piace, questo suo riuscire a conciliare un’anima religiosa a un lato comico e un po’ sboccato. Neanche a farlo apposta, dopo averci parlato dei salmi, risponde al telefono: “Ma la smetti di rompere?” ridacchia con un tono un po’ alla Lucy, il suo personaggio di Zelig. “Scusate, è un amico”.
Susan, la “coinquilina” di Ippolita
Il rumore di una porta che si chiude è così vicino da farci sobbalzare. “Tranquille” ci rassicura Ippolita “è la mia vicina”. “Serve il tavolino fuori?” chiede una ragazza, affacciandosi sulla soglia della casa.
Ippolita e Susan hanno l’ingresso in comune, tanto che le loro porte sembrano due accessi alla stessa casa.
“È come se fossimo coinquiline” ci racconta Ippolita. “Oltre a questo disimpegno condividiamo anche il tavolino che di solito sta fuori, sul ballatoio, ma che ora lei usa in casa per lavorare. Paghiamo a metà il wifi e il giardiniere. Ci prestiamo le cose… Susan cucina benissimo e io sono sempre disposta ad assaggiare”.
Durante il lockdown, Ippolita ha inaugurato l’uso del ballatoio. Ci si metteva tutti i pomeriggi, a leggere. Faceva il pane, poi si sedeva fuori e aspettava il profumo… “Venivano sempre a trovarmi due farfalline bianche, perché amano quella pianta tipo mentuccia, che allontana i gatti. Ci tengo a dirlo, perché non sono un’amante dei gatti. E il mio fidanzato ne ha due”.
Nel frattempo, ci sta facendo una dimostrazione: ha tirato fuori una sdraio con sopra disegnata un’anguria e si è seduta al sole. “Sembra di essere in vacanza” dice Bianca guardandola sognante, prima di scattare qualche foto. Le piante fanno da schermo con l’esterno e il rumore della strada è attutito. Ci si sente meno esposti di quello che avrei immaginato.
La costruzione del nido
“Ci ho messo un po’ a fare un nido di questa casa. Tra il 2015 e il 2016 ero sempre via per lavoro e avevo un fidanzato con un bellissimo appartamento, un letto gigante e un materasso incredibile. Dormivo sempre da lui. Non per lui eh, per il materasso…” ride. “Ma poi ci siamo lasciati e da ottobre 2016 ho preso di petto la situazione”.
Ha dipinto le pareti del salotto e appeso le cose a cui teneva. Il pannello sopra il tavolo è un regalo di sua sorella. L’ha invitata a cena con suo marito e lo hanno montato tutti insieme. Poi è arrivato il divano letto. Da quando ha deciso di metterci mano, ha cominciato subito a sentirla più sua. “Ho smesso di passare i weekend via. Come percorso mio personale ho sentito che avevo bisogno di viverla di più. Il weekend dell’Immacolata è tradizione della mia famiglia ritrovarsi tutti in campagna, per esempio, e io quell’anno sono rimasta qui. Andavo in palestra, ho letto un romanzo che è stato un po’ una svolta. Ho capito che stavo bene con me stessa, stavo bene da sola. Era solo una questione di paura. Allora ho pensato: dedichiamoci a questa casa”. Adesso sente che è a posto, come un pittore davanti a una tela finita.
Si trova bene anche nel quartiere. Dal 2015 a oggi si è rinnovato molto. C’è sempre un posto nuovo da scoprire. “Ma poi mi diverte troppo l’idea che io, così religiosa, vivo accanto alla metro Gerusalemme!”
“Questo altarino l’ho fatto in un momento di grande amore, però gli altarini mi stanno un po’ stufando… non ne faccio più. La foto di me da bambina al centro sento che mi rappresenta perfettamente, è come mi sento io, nel mio cuore. Non è Ippolita coi tacchi a spillo, è Roberta”.
Il corridoio del pellegrino
La gran parte degli oggetti che Ippolita ama di più, ci spiega, sono doni. È un concetto che le piace. Invece che scegliersi gli oggetti, accettare quelli che ci vengono regalati. E amarli. C’è il pannello appeso sopra al tavolo da pranzo, il servizio dipinto a mano da sua nonna, il manifesto di Spoleto, regalo di suo padre. Ci spostiamo verso la stanza attraverso il corridoio che Ippolita chiama corridoio del pellegrino, perché arredato con immagini che si riferiscono al pellegrino come simbolo religioso e al suo lavoro. In fondo essere un’attrice significa essere in continuo movimento, è un continuo pellegrinaggio.
“Cambierei i mobili della camera da letto, se fosse casa mia. Farei tutto bianco” ci dice. “Ma di questa camera amo l’affaccio. Si vede benissimo la luna, che sorge sulla sinistra e fa tutto l’arco fino a destra durante la notte, insieme a una stella che la segue. La sera quando sono di là tengo comunque accesa l’abat-jour qui in camera, aiuta a contribuire all’atmosfera di casa, con questa luce soffice. Così non mi sento sola”.
“La poltroncina, vicina al calorifero, la uso per le mie meditazioni”.
"Adoro stare sdraiata a letto a leggere e scrivere sul mio diario. Una pittrice, Lavinia Fagiuoli, mi ha coinvolto in un progetto sulle donne. E io ho scelto di farmi ritrarre proprio qui, mentre leggo".
Ovviamente, noi ci siamo incuriosite e abbiamo chiesto a Lavinia di mostrarci l'opera, eccola qui. Girando lo spazio dell'inquadratura cambia la prospettiva della donna rappresentata. "Robi attrice, Robi non attrice", perfettamente in linea con la nostra storia. Ringraziamo Lavinia Fagiuoli per averci gentilmente concesso queste immagini.
Il colpo d’occhio, ovvero darsi il benvenuto in casa
"Per me è importante il colpo d’occhio. Anche quando sono sola. Mi piace entrare in casa e trovare armonia visiva. Ci tengo al modo in cui sono disposti gli oggetti che ti accolgono appena entri. Metto spesso dei fiori sul tavolo, così quando apro la porta sono la prima cosa che vedo. Vivendo sola, mi piace darmi il benvenuto, rientrando in casa. “Ciao, bentornata Robi” mi dico da sola. Se dovessi comprare casa, per me sarebbe importantissimo non entrare in un corridoio o trovarmi davanti un muro, ma uno spazio che mi possa accogliere”.
Una casa, un passaggio
Ippolita è briosa, ma anche spesso immersa in ragionamenti profondi, che articola con calma per dargli il giusto peso. Sembra tenerci molto a spiegarsi, a non essere fraintesa.
“Entrando in questo appartamento, come in quelli precedenti, mi sono detta: ci starò qualche mese, poi mi sposo, faccio famiglia e mi trasferisco. Sono passati cinque anni. Ma ogni casa per me ha il suo periodo. Questa è solo una fase della mia vita, probabilmente cambierà. Non mi sento ancora di stabilizzarmi in una casa in cui arrivare a novanta, cent’anni, sperando di vivere tanto".
Amerebbe ospitare di più, ma l’appartamento non glielo consente. Il divano letto aperto ostruisce l’ingresso e occupa troppo spazio, il tavolo da pranzo è piccolo per una cena con più di tre persone. Aveva deciso di sacrificare il divano e mettere un tavolo tondo per poter fare delle cene più allargate. Poi è arrivato Michele nella sua vita. È sempre così, no? A lui piace sedersi su quel divano e lei non l’è sentita di disfarsene.
Tra rosari e luci sceniche, abbiamo avuto un assaggio di una personalità poliedrica e complessa, entrando in un mondo privato molto diverso dalla sua immagine pubblica.
Adesso deve scappare alle prove, ma vorremmo approfittare per fare ancora qualche foto, la luce oggi è dalla nostra. Ci lascia le chiavi con nonchalance e fugge via con addosso il suo zainetto rosso. “Poi ci facciamo un aperitivo e me le ridate!”
I brutti ma buoni ci guardano dal cestino sul tavolo, illuminati da una bellissima luce serale. Una visione di una delicatezza rara. Un regalo, direbbe lei. Lo prendiamo così anche a noi.
"Casa” è dove siamo noi stessi, indipendentemente da qualsiasi sguardo o giudizio esterno, rappresenta come ci sentiamo nel nostro intimo. Per questo, spesso, non è quello che gli altri si aspettano da noi. Questo ci dà gioia e ci comunica un gran senso di libertà!
Non basta un contratto. Una casa diventa “casa” quando lo decidiamo noi. A volte basta dipingere una parete, crearsi degli angoli personali, cambiare la disposizione dei mobili nello spazio… bisogna metterci anima e cuore!
Non basta un contratto. Una casa diventa “casa” quando lo decidiamo noi. A volte basta dipingere una parete, crearsi degli angoli personali, cambiare la disposizione dei mobili nello spazio… bisogna metterci anima e cuore!
Ippolita non ama il mobile che contiene il suo letto. Dal punto di vista di Bianca, però, questa soluzione salva-spazio non è male, visto che la camera non è molto grande. Se lo si dipingesse di bianco? Renderebbe il mobile più "leggero" visivamente e darebbe la percezione di uno spazio più ampio, rendendo il tutto anche più moderno.
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Testo: Lorenza Gentile, la scrittrice
Foto: Bianca Rizzi, l’architetta
Ippolita è un’attrice con una presenza luminosa. La conosciamo per lo scoppiettante personaggio televisivo di Lucy la Single, nonché per il suo spettacolo teatrale Mia mamma è una marchesa. Oltre ad aver calcato palcoscenici in tutta Italia (e non solo), ha partecipato a programmi televisivi come Zelig e Colorado ed è comparsa in varie pellicole cinematografiche.
Alta, vestiti sgargianti, tacchi a spillo e lunghi capelli biondi; sempre la battuta pronta. Eppure chi la conosce sa che, allo stesso tempo, è una persona riservata. Nei suoi monologhi si espone molto, ma ci sono delle parti di sé che nella vita privata custodisce gelosamente. Sorride spesso, ma altrettanto spesso si fa seria, assorbita da qualche ragionamento profondo.
Noi ci sentiamo fortunate perché ci ha invitate nel suo nido, che conoscono in pochi, dove si rifugia quando vuole sentirsi semplicemente Roberta.
Le case di ringhiera milanesi hanno sempre forme particolari. È come se fossero state plasmate un po’ a seconda del bisogno, dello spazio a disposizione, dell’umore dell’architetto. Spesso formano una u, a volte sono fatte a elle, in casi come questo hanno un lato solo, rivelando ai passanti il loro interno. Saliamo al quarto piano senza mancare di notare l’edicola con la Madonnina nell’androne, elemento tipico degli edifici di quell’epoca. Ci sono anche un tavolino e una sedia di plastica al centro del cortile, che ci ricordano le vecchie pensioni marittime, dove si sostava a giocare a carte o a leggere il giornale, a commentare le notizie dal mondo.
Arrivate all’ultimo piano, Ippolita ci accoglie svolazzante, sorridente, piena di energia. “Aspettate!” dice, bloccandoci sul ballatoio, “volevo mostrarvi la tendina!”. Solleva un lembo della tapparella di legno abbassata sulla finestra della cucina e la fissa ai due manici di scopa che sporgono dai vasi appesi alla ringhiera. È una sua creazione, ci spiega, risale ai tempi del lockdown. “In realtà non fa l’ombra che volevo” confessa, “ma mi piace un casino”. Ci congratuliamo per l’inventiva. E poi è proprio carina.
Un attimo e siamo nel salotto immerso nella luce pomeridiana. È bello vedere come sia felice di aprirci la porta d’ingresso e accoglierci dentro. “Questa casa è il mio nido. Il mio rifugio. Quando sono qui abbandono la socialità, alzo la diga, come nei porti francesi dopo una certa ora, e non entra nessuno. Mi rilasso, faccio dormite di dodici ore. Torno a essere Roberta, il mio vero nome, la mia più intima essenza”.
Forse anche per questo, Ippolita non lavora mai a casa. Ci ha provato durante la quarantena, ma non è stata un’esperienza proficua. Per lei è meglio che le due cose rimangano separate.
Mentre parla, ci guardiamo intorno sorprese. Ci saremmo aspettate un appartamento esagerato come i personaggi che interpreta, un posto eclettico ed estroso. Non ci aspettavamo un ambiente così intimo e riservato. Normale, nella migliore accezione del termine. “È successa la stessa cosa anche con il mio fidanzato!” esclama Ippolita quando glielo confessiamo, “la prima volta che è entrato qui dentro è rimasto basito. Si aspettava una casa da artista, mi ha detto, più bohémienne, non da sciura!” ci racconta, tutt’altro che offesa. “Ma la follia dell’artista è dentro di me, fuori ho bisogno dell’ordine, se no non sto bene. Sono una precisina”.
Le consegnamo i nostri brutti ma buoni, che accoglie entusiasta. Li sistema in una bella ciotola sulla tavola già apparecchiata per noi con un servizio da caffè e una caraffa di porcellana dipinta a mano da sua nonna. Ci sono anche dei dolcetti al cocco. Bianca le chiede se li ha fatti lei. “Mavvà sei matta? Il reparto gastronomia del supermercato ha delle cose buonissime. Spero vi piaccia il cocco”. Ci piace ed è una tortura aspettare di fotografarli prima di poterci avventare sul piattino. Ippolita, nel frattempo, tira fuori una caffettiera minuscola, da uno, e la prepara. Poi ne farà un’altra, dice, di più grandi non ne ha. “Vivendo sola, qui dentro…” Noi, non abbiamo nessuna fretta.
“Questo sulla porta era il fiocco di uno show, che avevo attaccato a un vestito. Alla fine dello spettacolo l’ho attaccato qui. Potrebbe simboleggiare la mia nascita, quando ho cominciato a sentire mia questa casa. Oppure indicare che questa casa per me è un dono, ogni volta che ci entro”.
“Mia nonna ha passato tanto tempo della sua vita, quando era già in vecchiaia, a dipingere un servizio di piatti. Lei è di Lodi e ha riprodotto un po’ lo stile di quelle parti. Il servizio era pensato per un nipote o una nipote. Sono capitata in questa casa che mia nonna se n’era appena andata e avevo bisogno di piatti, perché non era attrezzata. La provvidenza ha deciso che fossi io quella nipote”.
“Vorrei un tuo quadro in casa, ho detto al mio fidanzato, Michele Carminati. È stato un modo per conoscerci. Sono andata al suo atelier, me li ha mostrati tutti. Lo abbiamo scelto insieme, caricato in macchina, appeso insieme. Adesso mi sembra che ci sia sempre stato.”
Feng shui o ansia?
La casa di Ippolita è composta da una salottino con cucina a vista, una camera e un bagno.
“Sono in affitto qui dal 2015. Se ne andava un’amica di mia sorella. Appena entrata non mi ha entusiasmato, a dir la verità. Aveva le pareti gialline, non c’era neanche un divano. C’era solo uno stendino”. In effetti, non so chi si entusiasmerebbe per uno spazio vuoto con uno stendino... di un altro. “Era un po’ trascurata, poco vissuta, ma mi piaceva che fosse una casa di ringhiera e poi volevo fuggire dal divano letto di mia madre, quindi avevo una certa urgenza” ride.
È subentrata subito e la prima notte non ha chiuso occhio. “Che fosse un problema di orientamento del letto? Non facevo che ripetermi, girandomi e rigirandomi tra le lenzuola. Forse dovevo studiare il feng shui? Ho assillato tutti i miei amici nei giorni successivi…” In effetti, il letto non era orientato a nord. Spostarlo ha aiutato l’armonia spaziale della stanza, ma non ha risolto la sua insonnia. “Certo che no!” ci dice, versando il caffè nelle tazzine. “La verità è che non dormivo perché avevo preso quella scelta di petto. Avevo mille euro sul conto e l’affitto costava più di seicento. Mi son detta: goditela questo mese e poi dai la disdetta”. Leggendo i salmi, però, una di quelle notti, ha trovato una frase che l’ha molto colpita. “Fai del bene e avrai sempre una casa”. Da quel momento si è tranquillizzata e focalizzata sul suo lavoro. Le sono stati offerti dei ruoli e non le sono mai mancati i soldi per pagarla. "Non era il feng shui, era l’ansia”.
‘Leggendo i salmi’ è una delle frasi che puoi tranquillamente sentir dire a Ippolita, tanto quanto una parola un po’ scurrile o una battuta sagace, sia sul palco, che nella vita. Ed è proprio questo di lei che ci piace, questo suo riuscire a conciliare un’anima religiosa a un lato comico e un po’ sboccato. Neanche a farlo apposta, dopo averci parlato dei salmi, risponde al telefono: “Ma la smetti di rompere?” ridacchia con un tono un po’ alla Lucy, il suo personaggio di Zelig. “Scusate, è un amico”.
Susan, la “coinquilina” di Ippolita
Il rumore di una porta che si chiude è così vicino da farci sobbalzare. “Tranquille” ci rassicura Ippolita “è la mia vicina”. “Serve il tavolino fuori?” chiede una ragazza, affacciandosi sulla soglia della casa.
Ippolita e Susan hanno l’ingresso in comune, tanto che le loro porte sembrano due accessi alla stessa casa.
“È come se fossimo coinquiline” ci racconta Ippolita. “Oltre a questo disimpegno condividiamo anche il tavolino che di solito sta fuori, sul ballatoio, ma che ora lei usa in casa per lavorare. Paghiamo a metà il wifi e il giardiniere. Ci prestiamo le cose… Susan cucina benissimo e io sono sempre disposta ad assaggiare”.
Durante il lockdown, Ippolita ha inaugurato l’uso del ballatoio. Ci si metteva tutti i pomeriggi, a leggere. Faceva il pane, poi si sedeva fuori e aspettava il profumo… “Venivano sempre a trovarmi due farfalline bianche, perché amano quella pianta tipo mentuccia, che allontana i gatti. Ci tengo a dirlo, perché non sono un’amante dei gatti. E il mio fidanzato ne ha due”.
Nel frattempo, ci sta facendo una dimostrazione: ha tirato fuori una sdraio con sopra disegnata un’anguria e si è seduta al sole. “Sembra di essere in vacanza” dice Bianca guardandola sognante, prima di scattare qualche foto. Le piante fanno da schermo con l’esterno e il rumore della strada è attutito. Ci si sente meno esposti di quello che avrei immaginato.
La costruzione del nido
“Ci ho messo un po’ a fare un nido di questa casa. Tra il 2015 e il 2016 ero sempre via per lavoro e avevo un fidanzato con un bellissimo appartamento, un letto gigante e un materasso incredibile. Dormivo sempre da lui. Non per lui eh, per il materasso…” ride. “Ma poi ci siamo lasciati e da ottobre 2016 ho preso di petto la situazione”.
Ha dipinto le pareti del salotto e appeso le cose a cui teneva. Il pannello sopra il tavolo è un regalo di sua sorella. L’ha invitata a cena con suo marito e lo hanno montato tutti insieme. Poi è arrivato il divano letto. Da quando ha deciso di metterci mano, ha cominciato subito a sentirla più sua. “Ho smesso di passare i weekend via. Come percorso mio personale ho sentito che avevo bisogno di viverla di più. Il weekend dell’Immacolata è tradizione della mia famiglia ritrovarsi tutti in campagna, per esempio, e io quell’anno sono rimasta qui. Andavo in palestra, ho letto un romanzo che è stato un po’ una svolta. Ho capito che stavo bene con me stessa, stavo bene da sola. Era solo una questione di paura. Allora ho pensato: dedichiamoci a questa casa”. Adesso sente che è a posto, come un pittore davanti a una tela finita.
Si trova bene anche nel quartiere. Dal 2015 a oggi si è rinnovato molto. C’è sempre un posto nuovo da scoprire. “Ma poi mi diverte troppo l’idea che io, così religiosa, vivo accanto alla metro Gerusalemme!”
“Questo altarino l’ho fatto in un momento di grande amore, però gli altarini mi stanno un po’ stufando… non ne faccio più. La foto di me da bambina al centro sento che mi rappresenta perfettamente, è come mi sento io, nel mio cuore. Non è Ippolita coi tacchi a spillo, è Roberta”.
Il corridoio del pellegrino
La gran parte degli oggetti che Ippolita ama di più, ci spiega, sono doni. È un concetto che le piace. Invece che scegliersi gli oggetti, accettare quelli che ci vengono regalati. E amarli. C’è il pannello appeso sopra al tavolo da pranzo, il servizio dipinto a mano da sua nonna, il manifesto di Spoleto, regalo di suo padre. Ci spostiamo verso la stanza attraverso il corridoio che Ippolita chiama corridoio del pellegrino, perché arredato con immagini che si riferiscono al pellegrino come simbolo religioso e al suo lavoro. In fondo essere un’attrice significa essere in continuo movimento, è un continuo pellegrinaggio.
“Cambierei i mobili della camera da letto, se fosse casa mia. Farei tutto bianco” ci dice. “Ma di questa camera amo l’affaccio. Si vede benissimo la luna, che sorge sulla sinistra e fa tutto l’arco fino a destra durante la notte, insieme a una stella che la segue. La sera quando sono di là tengo comunque accesa l’abat-jour qui in camera, aiuta a contribuire all’atmosfera di casa, con questa luce soffice. Così non mi sento sola”.
“La poltroncina, vicina al calorifero, la uso per le mie meditazioni”.
"Adoro stare sdraiata a letto a leggere e scrivere sul mio diario. Una pittrice, Lavinia Fagiuoli, mi ha coinvolto in un progetto sulle donne. E io ho scelto di farmi ritrarre proprio qui, mentre leggo".
Ovviamente, noi ci siamo incuriosite e abbiamo chiesto a Lavinia di mostrarci l'opera, eccola qui. Girando lo spazio dell'inquadratura cambia la prospettiva della donna rappresentata. "Robi attrice, Robi non attrice", perfettamente in linea con la nostra storia. Ringraziamo Lavinia Fagiuoli per averci gentilmente concesso queste immagini.
Il colpo d’occhio, ovvero darsi il benvenuto in casa
"Per me è importante il colpo d’occhio. Anche quando sono sola. Mi piace entrare in casa e trovare armonia visiva. Ci tengo al modo in cui sono disposti gli oggetti che ti accolgono appena entri. Metto spesso dei fiori sul tavolo, così quando apro la porta sono la prima cosa che vedo. Vivendo sola, mi piace darmi il benvenuto, rientrando in casa. “Ciao, bentornata Robi” mi dico da sola. Se dovessi comprare casa, per me sarebbe importantissimo non entrare in un corridoio o trovarmi davanti un muro, ma uno spazio che mi possa accogliere”.
Una casa, un passaggio
Ippolita è briosa, ma anche spesso immersa in ragionamenti profondi, che articola con calma per dargli il giusto peso. Sembra tenerci molto a spiegarsi, a non essere fraintesa.
“Entrando in questo appartamento, come in quelli precedenti, mi sono detta: ci starò qualche mese, poi mi sposo, faccio famiglia e mi trasferisco. Sono passati cinque anni. Ma ogni casa per me ha il suo periodo. Questa è solo una fase della mia vita, probabilmente cambierà. Non mi sento ancora di stabilizzarmi in una casa in cui arrivare a novanta, cent’anni, sperando di vivere tanto".
Amerebbe ospitare di più, ma l’appartamento non glielo consente. Il divano letto aperto ostruisce l’ingresso e occupa troppo spazio, il tavolo da pranzo è piccolo per una cena con più di tre persone. Aveva deciso di sacrificare il divano e mettere un tavolo tondo per poter fare delle cene più allargate. Poi è arrivato Michele nella sua vita. È sempre così, no? A lui piace sedersi su quel divano e lei non l’è sentita di disfarsene.
Tra rosari e luci sceniche, abbiamo avuto un assaggio di una personalità poliedrica e complessa, entrando in un mondo privato molto diverso dalla sua immagine pubblica.
Adesso deve scappare alle prove, ma vorremmo approfittare per fare ancora qualche foto, la luce oggi è dalla nostra. Ci lascia le chiavi con nonchalance e fugge via con addosso il suo zainetto rosso. “Poi ci facciamo un aperitivo e me le ridate!”
I brutti ma buoni ci guardano dal cestino sul tavolo, illuminati da una bellissima luce serale. Una visione di una delicatezza rara. Un regalo, direbbe lei. Lo prendiamo così anche a noi.
"Casa” è dove siamo noi stessi, indipendentemente da qualsiasi sguardo o giudizio esterno, rappresenta come ci sentiamo nel nostro intimo. Per questo, spesso, non è quello che gli altri si aspettano da noi. Questo ci dà gioia e ci comunica un gran senso di libertà!
Non basta un contratto. Una casa diventa “casa” quando lo decidiamo noi. A volte basta dipingere una parete, crearsi degli angoli personali, cambiare la disposizione dei mobili nello spazio… bisogna metterci anima e cuore!
Non basta un contratto. Una casa diventa “casa” quando lo decidiamo noi. A volte basta dipingere una parete, crearsi degli angoli personali, cambiare la disposizione dei mobili nello spazio… bisogna metterci anima e cuore!
Ippolita non ama il mobile che contiene il suo letto. Dal punto di vista di Bianca, però, questa soluzione salva-spazio non è male, visto che la camera non è molto grande. Se lo si dipingesse di bianco? Renderebbe il mobile più "leggero" visivamente e darebbe la percezione di uno spazio più ampio, rendendo il tutto anche più moderno.
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