Testo: Lorenza Gentile, la scrittrice
Foto: Bianca Rizzi, l’architetta
Francesca e Stefano. Una passione in comune, quella per i libri, e uno stile colorato, dalla marcata personalità. Li guardi ed è come se la loro anima giocasse.
Francesca è di San Giorgio del Sannio (Benevento), Stefano di Firenze. Lei responsabile marketing e digitale; lui editor di narrativa. Francesca ha lavorato da Rizzoli, Mondadori, HarperCollins, ora è a Neri Pozza; Stefano da Rizzoli, DeA Planeta, ora è a Salani.
A Milano si sono incontrati, Milano è il luogo dove hanno costruito qualcosa insieme, senza dimenticare le proprie origini. Con loro si imparano tradizioni culinarie, accenti e modi di dire toscani e campani, e starli a sentire è un po’ come girovagare per il nostro Paese. Non solo, quando raccontano dei loro viaggi, si rischia di spingersi dall’altra parte del mondo.
Stefano e Francesca sono empatici, la conversazione viene facile, si completano battibeccandosi tanto quanto facendosi carezze, sempre nel rispetto delle loro differenze. L’impressione è che non ti possa succedere niente quando sei con loro, perché oltre a proteggersi l’un l’altro, proteggono anche te.
“Come stai?” è la prima domanda che ti fanno. Non è pura cortesia, lo vogliono sapere davvero. E si aspettano una risposta sincera, come sono loro.
Com’è la loro casa.
È un sabato soleggiato, subito dopo pranzo, fa caldo. Passato il cancello che dà sulla strada ci troviamo in un grande cortile il cui contrasto ci incuriosisce subito. Gli edifici ricordano l’edilizia popolare, ma facciate e balconi sono molto curati e lo spazio verde e rigoglioso al centro del cortile non fa certo pensare ai vecchi rioni.
“Mi ricorda i piccoli paesi di montagna” dice Bianca, “i tetti di legno a due o tre falde, le costruzioni con un corpo centrale e varie scale che portano ai blocchi laterali”. Forse anche il grande pino e il cielo azzurro contribuiscono a darle quest’impressione.
Ci sentiamo chiamare. Francesca e Stefano si affacciano al balcone e ci salutano con la mano prima di indicarci la scala giusta. Sono tanti i balconcini che danno sul cortile, ma il loro è senza dubbio il più fiorito e colorato. Spicca su tutti, proprio come loro spiccherebbero immersi in una folla di passanti.
Per la scala condominiale aleggiano i profumi tipici dei lunghi pranzi del fine settimana, quelli in cui si sta a tavola per ore e non è mai abbastanza. Non facciamo fatica a trovare la porta che cerchiamo: i cognomi dei nostri ospiti sono racchiusi in una cornice colorata in bella vista, non lasciando adito a dubbi. Proprio quando stiamo per suonare Stefano ci apre, dietro di lui intravediamo Francesca appoggiata al ripiano della cucina, con le braccia incrociate e un sorriso dolce, quasi timido, che ci conquista subito. Ci fanno accomodare, ci chiedono di sedere, ci offrono il caffè, vogliono sapere come stiamo.
Siamo nel cuore della casa. Un grande spazio aperto e luminoso: cucina, sala da pranzo, salotto. Lo spazio è immerso in un’atmosfera distesa, nell’ordine. Un fascio di luce che proviene dalla portafinestra, neanche a farlo apposta, illumina la composizione di gerbere al centro del tavolo. Il vaso è una creazione di Stefano. Accettano di buon grado i brownies che abbiamo portato, li mangiamo subito insieme al caffè, mentre il discorso verge sulla passione di Stefano per la falegnameria.
Stefano, passione falegname
“Abbiamo comprato questa casa a novembre di qualche anno fa” racconta. "Bisognava fare dei lavori che avrebbero privato tutta la strada del riscaldamento per un giorno e mezzo. Per questo, abbiamo dovuto attendere aprile prima di cominciare la ristrutturazione. L’appartamento era demolito per metà, e non si poteva far niente. Io scalpitavo. La domenica venivo qui con la mia radiolina, ascoltavo le partite e facevo cose. C’era una bella cassa di legno con il coperchio, l’ho restaurata. Ho ridipinto le fioriere, che ora sono fuori… Si gelava e non c’era l’elettricità, ma era il mio modo di stare in questa casa prima di abitarla”.
Ecco il precedente eroico di una passione rimasta latente per anni.
“Sapevo da tempo che mi sarebbe piaciuto provare a lavorare il legno. Istinto. Da quando ci siamo trasferiti qui abbiamo una soffitta. Un giorno, Francesca mi ha regalato il banco da lavoro e un po’ di attrezzi. Non avevo più scuse".
La prima creazione è stata la sedia a dondolo gialla che vediamo davanti alla libreria. "Francesca desiderava una sedia a dondolo ancora prima di entrare in questa casa, quindi la prima prova l’ho fatta per lei”. Lo troviamo un gesto molto romantico, ma ci guardiamo dall’interromperlo. “È un modello che abbiamo visto a Cuba. Lì hanno tutti sedie così, in veranda”.
Il giallo è stata una scelta istintiva. A noi piace, la rende iconica. La sedia è diventata subito il simbolo della casa.
Promettono che ci segnaleranno tutte le opere di Stefano sparse per la casa, sempre che non riusciamo a individuarle da sole. La sedia squadrata vicino al tavolo, per esempio, è stato uno dei primi tentativi. “Adesso la odio, è tutta storta. Col tempo ha ceduto” dice Stefano, anche se noi non ce n’eravamo affatto accorte. L’ha costruita su modello di quella di Parasite (il film di Bong Joon-ho n.d.r.). “L’ispirazione mi viene casualmente. Quando vedo dei bei pezzi li fotografo e provo a riprodurli”.
“Stupendo il tavolino sul balcone” esclama Bianca, approfittando della luce favorevole per scattare qualche foto. Scopriamo che Francesca ha un vero talento per le piante. “Un pollicione verde invidiabile!” commenta Bianca.
Non solo le piante sono in salute e crescono con costanza, ma alcune di esse fioriscono, pur non avendo mai fiorito prima. È un talento ereditato da sua nonna. È stata lei a insegnarle a parlargli. Quando la nonna di Francesca è morta, pare che una delle piante, un ficus, sia stata trovata con le foglie chiuse su se stesse, bagnate in modo inspiegabile, proprio come se avessero pianto.
“Quando siamo arrivati in questo condominio, eravamo la nuova coppia, i giovani. Gli unici che pranzavano sul balconcino…” racconta Francesca. “Poi sono arrivati quelli di fronte, che rispondono alla stessa tipologia, e si sono messi in testa di essere più fighi. Hanno cominciato a copiarci. Anche loro hanno decorato il balcone con luci e piante. Lo scorso Natale, in risposta, abbiamo agghindato il nostro tipo un’astronave”.
“Loro mettono una cosa, noi ne mettiamo venti” le fa eco Stefano.
“È una sorta di competizione?” chiedo.
“Sì, ma loro non lo sanno” rispondono, ridendo. “È tutto nella nostra testa”.
Si respira un clima vacanziero in questa casa, forse per il loro modo di fare, rilassato e accogliente, il rumore di stoviglie in lontananza, il via vai fuori. Il sole e il pino al centro del cortile.
Il palazzo
Basta chiedere timidamente del palazzo perché procurino un vecchio articolo di giornale a tutta pagina, fotocopiato per loro dalla custode, intitolato: “Il rione Aler è diventato un posto da ricchi. Avvocati e architetti hanno acquistato gli ex alloggi popolari a Città Studi, dando vita a un quartiere modello”.
Sul loro lato della strada, quello dei numeri pari di via Aselli, ci sono, oltre al loro, altri tre comprensori simili, uno di fila all’altro. Fanno parte dello stesso progetto, commissionato dall’istituto della case popolari di Milano intorno al 1929, quando intorno c'era ancora la campagna, oltre allo scalo ferroviario di Acquabella, che dà tutt'ora il nome alla zona; anche se per comodità viene inglobata da tutti in Città Studi. Secondo l’articolo erano case destinate agli insegnanti delle scuole elementari. Qualcuno dice vigili, pompieri, ferrovieri.
Nel tempo il contesto si è degradato, ma qualche decennio fa molti di quelli che ci abitavano sono riusciti a riscattare il proprio alloggio dall’Aler, rivendendolo a prezzi raddoppiati. Grazie a chi ha comprato (per la maggior parte liberi professionisti) queste ex case popolari si sono riscattate dal degrado, diventando perfetti modelli di amministrazione condominiale, di pulizia, di decoro.
La lampada è stata progettata e realizzata da Stefano. Il che aumenta la nostra ammirazione. Lui scherza sulle sue doti mancate di elettricista. “Non mi sentirei, ecco, di metterla nel soggiorno di qualcun altro”, dice. “Io sono messa peggio” risponde Bianca. “L’unica volta in cui ho provato a fare un esperimento simile è saltata la luce in tutto il palazzo”.
Come hanno scelto questa casa
“All’inizio fu la banca, e trent’anni della mia vita…” esordisce Stefano, scherzando.
“La prima notte in cui abbiamo dormito qui era il 31 maggio 2017” aggiunge Francesca.
“Stavamo cercando casa in questa zona di Città Studi” continua lui. “Non è caro e ci piaceva particolarmente questa parte del quartiere. Il fine settimana c’è il mercato, rimasto autentico, dove fanno la spesa i vecchietti della zona, oltre a tutti gli altri. Se vuoi un ristorante raffinato o cool, probabilmente non ne trovi. Trovi però il calzolaio, la panetteria, le botteghe, tante piccole attività. Esiste persino un’associazione di mutuo soccorso per gli abitanti del quartiere”. Forse per via della mancanza di una metro da queste parti, la gentrificazione è più lenta rispetto ad altre zone di Milano.
Tra qualche anno ci sarà la fermata della nuova linea 5 e chissà se questo cambierà le cose.
Un giorno Stefano e Francesca sono passati davanti a quello che ora è il loro condominio e si sono detti che sarebbe stato perfetto: le case erano molto più belle delle altre. Pensavano di non poterselo permettere e che sarebbe rimasto un sogno. Tempo dopo, invece, è capitato che l’agenzia gli facesse vedere proprio questa casa: era appena stata messa in vendita, non era uscito neanche l’annuncio.
“Brutta” racconta Francesca. “Vecchia. C’era un corridoio centrale, buio, e le stanze sui lati, abbastanza anguste. Era messa male, insomma, un po’ triste. Ci aveva vissuto una coppia di anziani, senza figli. Prima è mancata lei, poi lui, che nel tempo libero dipingeva. La casa era piena di libri e cataloghi d’arte e in quello che ora è lo studio, dove lui dipingeva, le pareti erano tappezzate di quadri, appesi anche al soffitto ad asciugare con un sistema di catenelle”.
Nonostante la casa fosse buia e tagliata alla vecchia maniera, entrambi avevano avuto una buona impressione. “Si sentiva che la casa aveva un’anima positiva” spiega Francesca. “È una cosa che ci viene detta spesso, tra l’altro: c’è un qualcosa di positivo qui dentro”. Confermiamo. Abbiamo avuto la stessa impressione non appena entrate.
Francesca e Stefano ne hanno viste poche altre prima di sceglierla.
“Avevamo notato che la luce entrava dal balcone” dice Stefano. “E abbiamo capito da subito che se avessimo buttato giù tutti i muri e aperto lo spazio sarebbe diventata luminosa”.
Sapevano da subito, insomma, come volevano trasformarla e io un po’ li invidio, visto che, nonostante per il mio lavoro io faccia grande affidamento sull’immaginazione, non sono mai stata in grado di visualizzare gli spazi diversi da quello che sono. Il progetto non è stato fatto da un architetto, ma da loro in persona. Vedendo le foto di com’era prima, rimaniamo ammirate.
“Quando la casa è messa così male è facile” dice Stefano, alzando le spalle “l’unica cosa che ti serve sapere è quali sono i muri portanti, per il resto butti giù tutto”.
“Il mattone viene da New York. Precisamente, da un cantiere che stava di fronte all'ex caserma dei pompieri che fu usata come sede dei Ghostbusters nel famoso film. Li buttavano, così ne abbiamo preso uno. Ci piaceva pensare che venisse proprio da là dentro! Ce lo siamo portati in valigia, insieme a una mazza da baseball. Abbiamo viaggiato leggeri, insomma".
La libreria di due editori
Il centro focale del salotto è senz’altro la libreria. La struttura sottile non appesantisce e dà valore al libro, mettendolo in primo piano. A una prima occhiata potrebbe sembrare un unico pezzo, invece è composta da due parti. Una di Stefano e l’altra di Francesca. Bisognerebbe conoscerli un po’ per indovinare dai titoli quale lato appartiene a chi, se non fosse per il malcelato indizio: gli oggetti che troneggiano in cima. Star Wars e fenicotteri ci sembrano segnali abbastanza evidenti, anche se loro giurano che la disposizione sia casuale. Forse a livello inconscio hanno posizionato ognuno i propri totem a custodire le loro letture? Chiediamo come dispongono i libri, visto che sono del mestiere. Francesca li ordina per editore. Stefano “secondo percorsi mentali suoi”. Cerchiamo di decifrarli, ma è impossibile.
La libreria di casa è la rappresentazione di chi vorresti essere ci dice Stefano, perché comprende non solo i libri che hai letto, ma anche quelli che vorresti leggere o vorresti aver letto o pensi che avresti dovuto leggere. Io e Bianca ci guardiamo cercando di seguire il filo del discorso… se ripenso alla Divina Commedia, Guerra e Pace o l’opera omnia di Nietzsche nella mia libreria, penso che in fondo abbia ragione.
Una casa, due anime
In epoca pre-covid sia Francesca che Stefano erano in ufficio tutta la settimana e la casa era il posto dove si rilassavano. Adesso, Francesca lavora nello studio. Quando sono entrambi a casa, la vivono in modo affiatato, quasi simbiotico. Abitano quasi sempre lo stesso spazio, anche se svolgono attività diverse. “Non avrebbe senso, per noi, farsi ognuno i cavoli propri” dice Stefano. “Quando finalmente siamo insieme”.
Nonostante parlino entrambi molto e spesso in modo concitato, riescono a non interrompersi mai. Questa armonia di coppia si riflette anche nella casa, dove due anime convivono tranquillamente pur essendo, a tratti, molto diverse.
A prescindere dai due filoni ludici - Star Wars e il mondo dei fumetti da una parte, fenicotteri e unicorni dall’altra - hanno entrambi un legame fortemente affettivo con gli oggetti. E l’ironia non manca mai. Li seguiamo per la casa, mentre ci raccontano i particolari. Vediamo il bagno (con Alda Merini e gli scheletri messicani), la cameretta/studio e la loro stanza.
“Questo è il nostro altarino delle offerte” racconta Francesca. "C’è la statua di San Gennaro, che ha regalato lo scrittore Pino Imperatore a Stefano, la bella ‘Mbriana protettrice della casa, gli angioletti che ci ha donato mio nipote. Quando abbiamo bisogno di ottenere qualcosa facciamo delle offerte, fiori, dolci o oggetti a cui teniamo in modo particolare. Una volta ci ho messo le chiavi della nostra casa al mare. Per esempio, ora c’è una rosa perché ho chiesto una cosa. Le richieste le facciamo separatamente, perché Stefano ha un modo di rivolgersi per me completamente sbagliato. Perde le staffe con loro se non ottiene quello che vuole!”
Le opere
Tutto quello che è appeso alle pareti di questa casa ha un significato. Ci sono ricordi di viaggio, come le stampe prese a Cuba, regali, illustrazioni e opere d’arte i cui autori sono amici.
“Quando incontro qualcuno che ha un talento o una passione” ci spiega Stefano, “gli chiedo sfacciatamente se mi regala un suo pezzo”.
Notiamo una poesia autografa di Alda Merini, un’opera di Sebastiano Vassalli (l’invito al suo matrimonio), un quadretto di Enrico Pandiani, un’illustrazione di Otto Gabos. "Nella cameretta/studio, che sta diventando la stanza dei fumetti” commenta Stefano, “ci sono un Manara e una tavola di Dylan Dog”.
Francesca e Stefano hanno rispettato il carattere della casa - gli infissi, i termosifoni, i tubi del riscaldamento a vista, le cornici delle porte - accostandogli però un’anima moderna, uno stile nordico eppure colorato. È una casa che è stata arredata col tempo e per loro non è ancora finita. Vorrebbero dipingere, per esempio, una parete della camera da letto. (Durante il tempo trascorso dalla stesura di questo articolo e la sua pubblicazione l’hanno fatto! E ve lo mostreremo a tempo debito)
“È un quadro dell’editore Luigi Spagnol, a cui sono molto affezionato. Luigi è mancato un mese dopo averlo terminato. Quando gli ho chiesto se mi regalava una sua opera lui ha acconsentito, a patto che gli facessi un mobile per il nuovo studio. Ho detto di sì, dimenticandomene subito dopo. Dopo qualche mese, Luigi mi ha avvertito nel bel mezzo di una riunione con molte persone che il suo quadro era pronto. Mi sono messo subito al lavoro e in una settimana gli ho costruito un mobile bellissimo, forse il più bello che io abbia mai fatto. Il giorno in cui gliel’ho consegnato è stata l’ultima volta che l’ho visto. Ma è un bel ricordo, perché era felicissimo”.
"Come vedete" ci dice Stefano, "questa tavola di Dylan Dog incorniciata è l’originale di una tavola andata poi in stampa con una piccola differenza… Riuscite a scovarla?"
Come un pranzo in famiglia
Il giorno successivo siamo ancora da loro per lo shooting. La conversazione riprende con naturalezza e una sorpresa: ci invitano a partecipare al loro pranzo della domenica. Ci accorgiamo che è quasi l’ora di mangiare quando suona il campanello e un fattorino recapita una bottiglia di bianco. È da parte di Giuseppe, il fratello di Francesca, che sta arrivando. Lavora per un’azienda di wine delivery e si è portato avanti con gli omaggi. In effetti, dopo una decina di minuti arriva anche lui. Basta distrarci un attimo a fotografare la camera da letto, che troviamo la tavola imbandita come se fosse festa. La tovaglia è stata confezionata dalla zia di Francesca. Pare che non fossero d’accordo sulla scelta del servizio di piatti e dei bicchieri, ma l’ha avuta vinta Stefano. Francesca era troppo intenta a cucinare. Antipasti e primo di pesce, contorni, vino, grappe fatte in casa. Anche se sono solo due giorni che siamo con loro, ci sentiamo già di casa, al punto che sappiamo dove sono le tazzine del caffè e aiutiamo a servirlo, bollente, con i brownies.
“Ricordo più bello che avrò di mio nipote" dice Francesca riferendosi all'enorme peluche rosa. "Ho raggiunto lui e il resto della famiglia in un ristorante per i miei quarant’anni. L’ho trovato seduto a capotavola abbracciato a questo fenicottero più grande di lui. Il suo regalo, comprato con la paghetta”.
Beviamo un ultimo caffè prima di salutarli. Li abbiamo sequestrati per un weekend, sottoponendoli anche alle torture dell’obiettivo fotografico, che non amano, ma non si sono mai lamentati. Sempre a disposizione, sempre presenti.
Saremmo potute stare ancora, tutto qui dentro ha un significato e una storia. Una casa fatta di dettagli che si aprono su mondi da scoprire.
"Adottate per un fine settimana", ci diciamo dopo averli salutati.
“Domattina ci sentiremo un po’ spaesate”.
“Ci mancheranno”.
Appassionati lettori: finalmente una vera soluzione alla pila di libri infinita sul comodino! Con lo scolapiatti di legno dell’Ikea riesci a tenerne tanti in poco spazio e sempre ben ordinati.
E ancora si parla di libri! Non poteva essere altrimenti, a casa di due editori. Anche i volumi di cui vorreste disfarvi possono tornare utili con un po’ di creatività. Stefano qui si è sbizzarito e per Francesca ha dato una seconda vita a questo vecchio libro. A noi piace tantissimo.
Francesca e Stefano vorrebbero, come tutti noi forse, apportare dei cambiamenti alla loro casa, far sì che continui a evolversi. Ma non hanno dei veri e propri problemi e come possiamo noi fare proposte in una casa come la loro, così personale? Allora, questa volta proponiamo qualcosa a voi. Avendoci molto incuriosito l'argomento delle case popolari, vi segnaliamo alcuni articoli interessanti:
100 anni di Edilizia residenziale pubblica a Milano
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Testo: Lorenza Gentile, la scrittrice
Foto: Bianca Rizzi, l’architetta
Francesca e Stefano. Una passione in comune, quella per i libri, e uno stile colorato, dalla marcata personalità. Li guardi ed è come se la loro anima giocasse.
Francesca è di San Giorgio del Sannio (Benevento), Stefano di Firenze. Lei responsabile marketing e digitale; lui editor di narrativa. Francesca ha lavorato da Rizzoli, Mondadori, HarperCollins, ora è a Neri Pozza; Stefano da Rizzoli, DeA Planeta, ora è a Salani.
A Milano si sono incontrati, Milano è il luogo dove hanno costruito qualcosa insieme, senza dimenticare le proprie origini. Con loro si imparano tradizioni culinarie, accenti e modi di dire toscani e campani, e starli a sentire è un po’ come girovagare per il nostro Paese. Non solo, quando raccontano dei loro viaggi, si rischia di spingersi dall’altra parte del mondo.
Stefano e Francesca sono empatici, la conversazione viene facile, si completano battibeccandosi tanto quanto facendosi carezze, sempre nel rispetto delle loro differenze. L’impressione è che non ti possa succedere niente quando sei con loro, perché oltre a proteggersi l’un l’altro, proteggono anche te.
“Come stai?” è la prima domanda che ti fanno. Non è pura cortesia, lo vogliono sapere davvero. E si aspettano una risposta sincera, come sono loro.
Com’è la loro casa.
È un sabato soleggiato, subito dopo pranzo, fa caldo. Passato il cancello che dà sulla strada ci troviamo in un grande cortile il cui contrasto ci incuriosisce subito. Gli edifici ricordano l’edilizia popolare, ma facciate e balconi sono molto curati e lo spazio verde e rigoglioso al centro del cortile non fa certo pensare ai vecchi rioni.
“Mi ricorda i piccoli paesi di montagna” dice Bianca, “i tetti di legno a due o tre falde, le costruzioni con un corpo centrale e varie scale che portano ai blocchi laterali”. Forse anche il grande pino e il cielo azzurro contribuiscono a darle quest’impressione.
Ci sentiamo chiamare. Francesca e Stefano si affacciano al balcone e ci salutano con la mano prima di indicarci la scala giusta. Sono tanti i balconcini che danno sul cortile, ma il loro è senza dubbio il più fiorito e colorato. Spicca su tutti, proprio come loro spiccherebbero immersi in una folla di passanti.
Per la scala condominiale aleggiano i profumi tipici dei lunghi pranzi del fine settimana, quelli in cui si sta a tavola per ore e non è mai abbastanza. Non facciamo fatica a trovare la porta che cerchiamo: i cognomi dei nostri ospiti sono racchiusi in una cornice colorata in bella vista, non lasciando adito a dubbi. Proprio quando stiamo per suonare Stefano ci apre, dietro di lui intravediamo Francesca appoggiata al ripiano della cucina, con le braccia incrociate e un sorriso dolce, quasi timido, che ci conquista subito. Ci fanno accomodare, ci chiedono di sedere, ci offrono il caffè, vogliono sapere come stiamo.
Siamo nel cuore della casa. Un grande spazio aperto e luminoso: cucina, sala da pranzo, salotto. Lo spazio è immerso in un’atmosfera distesa, nell’ordine. Un fascio di luce che proviene dalla portafinestra, neanche a farlo apposta, illumina la composizione di gerbere al centro del tavolo. Il vaso è una creazione di Stefano. Accettano di buon grado i brownies che abbiamo portato, li mangiamo subito insieme al caffè, mentre il discorso verge sulla passione di Stefano per la falegnameria.
Stefano, passione falegname
“Abbiamo comprato questa casa a novembre di qualche anno fa” racconta. "Bisognava fare dei lavori che avrebbero privato tutta la strada del riscaldamento per un giorno e mezzo. Per questo, abbiamo dovuto attendere aprile prima di cominciare la ristrutturazione. L’appartamento era demolito per metà, e non si poteva far niente. Io scalpitavo. La domenica venivo qui con la mia radiolina, ascoltavo le partite e facevo cose. C’era una bella cassa di legno con il coperchio, l’ho restaurata. Ho ridipinto le fioriere, che ora sono fuori… Si gelava e non c’era l’elettricità, ma era il mio modo di stare in questa casa prima di abitarla”.
Ecco il precedente eroico di una passione rimasta latente per anni.
“Sapevo da tempo che mi sarebbe piaciuto provare a lavorare il legno. Istinto. Da quando ci siamo trasferiti qui abbiamo una soffitta. Un giorno, Francesca mi ha regalato il banco da lavoro e un po’ di attrezzi. Non avevo più scuse".
La prima creazione è stata la sedia a dondolo gialla che vediamo davanti alla libreria. "Francesca desiderava una sedia a dondolo ancora prima di entrare in questa casa, quindi la prima prova l’ho fatta per lei”. Lo troviamo un gesto molto romantico, ma ci guardiamo dall’interromperlo. “È un modello che abbiamo visto a Cuba. Lì hanno tutti sedie così, in veranda”.
Il giallo è stata una scelta istintiva. A noi piace, la rende iconica. La sedia è diventata subito il simbolo della casa.
Promettono che ci segnaleranno tutte le opere di Stefano sparse per la casa, sempre che non riusciamo a individuarle da sole. La sedia squadrata vicino al tavolo, per esempio, è stato uno dei primi tentativi. “Adesso la odio, è tutta storta. Col tempo ha ceduto” dice Stefano, anche se noi non ce n’eravamo affatto accorte. L’ha costruita su modello di quella di Parasite (il film di Bong Joon-ho n.d.r.). “L’ispirazione mi viene casualmente. Quando vedo dei bei pezzi li fotografo e provo a riprodurli”.
“Stupendo il tavolino sul balcone” esclama Bianca, approfittando della luce favorevole per scattare qualche foto. Scopriamo che Francesca ha un vero talento per le piante. “Un pollicione verde invidiabile!” commenta Bianca.
Non solo le piante sono in salute e crescono con costanza, ma alcune di esse fioriscono, pur non avendo mai fiorito prima. È un talento ereditato da sua nonna. È stata lei a insegnarle a parlargli. Quando la nonna di Francesca è morta, pare che una delle piante, un ficus, sia stata trovata con le foglie chiuse su se stesse, bagnate in modo inspiegabile, proprio come se avessero pianto.
“Quando siamo arrivati in questo condominio, eravamo la nuova coppia, i giovani. Gli unici che pranzavano sul balconcino…” racconta Francesca. “Poi sono arrivati quelli di fronte, che rispondono alla stessa tipologia, e si sono messi in testa di essere più fighi. Hanno cominciato a copiarci. Anche loro hanno decorato il balcone con luci e piante. Lo scorso Natale, in risposta, abbiamo agghindato il nostro tipo un’astronave”.
“Loro mettono una cosa, noi ne mettiamo venti” le fa eco Stefano.
“È una sorta di competizione?” chiedo.
“Sì, ma loro non lo sanno” rispondono, ridendo. “È tutto nella nostra testa”.
Si respira un clima vacanziero in questa casa, forse per il loro modo di fare, rilassato e accogliente, il rumore di stoviglie in lontananza, il via vai fuori. Il sole e il pino al centro del cortile.
Il palazzo
Basta chiedere timidamente del palazzo perché procurino un vecchio articolo di giornale a tutta pagina, fotocopiato per loro dalla custode, intitolato: “Il rione Aler è diventato un posto da ricchi. Avvocati e architetti hanno acquistato gli ex alloggi popolari a Città Studi, dando vita a un quartiere modello”.
Sul loro lato della strada, quello dei numeri pari di via Aselli, ci sono, oltre al loro, altri tre comprensori simili, uno di fila all’altro. Fanno parte dello stesso progetto, commissionato dall’istituto della case popolari di Milano intorno al 1929, quando intorno c'era ancora la campagna, oltre allo scalo ferroviario di Acquabella, che dà tutt'ora il nome alla zona; anche se per comodità viene inglobata da tutti in Città Studi. Secondo l’articolo erano case destinate agli insegnanti delle scuole elementari. Qualcuno dice vigili, pompieri, ferrovieri.
Nel tempo il contesto si è degradato, ma qualche decennio fa molti di quelli che ci abitavano sono riusciti a riscattare il proprio alloggio dall’Aler, rivendendolo a prezzi raddoppiati. Grazie a chi ha comprato (per la maggior parte liberi professionisti) queste ex case popolari si sono riscattate dal degrado, diventando perfetti modelli di amministrazione condominiale, di pulizia, di decoro.
La lampada è stata progettata e realizzata da Stefano. Il che aumenta la nostra ammirazione. Lui scherza sulle sue doti mancate di elettricista. “Non mi sentirei, ecco, di metterla nel soggiorno di qualcun altro”, dice. “Io sono messa peggio” risponde Bianca. “L’unica volta in cui ho provato a fare un esperimento simile è saltata la luce in tutto il palazzo”.
Come hanno scelto questa casa
“All’inizio fu la banca, e trent’anni della mia vita…” esordisce Stefano, scherzando.
“La prima notte in cui abbiamo dormito qui era il 31 maggio 2017” aggiunge Francesca.
“Stavamo cercando casa in questa zona di Città Studi” continua lui. “Non è caro e ci piaceva particolarmente questa parte del quartiere. Il fine settimana c’è il mercato, rimasto autentico, dove fanno la spesa i vecchietti della zona, oltre a tutti gli altri. Se vuoi un ristorante raffinato o cool, probabilmente non ne trovi. Trovi però il calzolaio, la panetteria, le botteghe, tante piccole attività. Esiste persino un’associazione di mutuo soccorso per gli abitanti del quartiere”. Forse per via della mancanza di una metro da queste parti, la gentrificazione è più lenta rispetto ad altre zone di Milano.
Tra qualche anno ci sarà la fermata della nuova linea 5 e chissà se questo cambierà le cose.
Un giorno Stefano e Francesca sono passati davanti a quello che ora è il loro condominio e si sono detti che sarebbe stato perfetto: le case erano molto più belle delle altre. Pensavano di non poterselo permettere e che sarebbe rimasto un sogno. Tempo dopo, invece, è capitato che l’agenzia gli facesse vedere proprio questa casa: era appena stata messa in vendita, non era uscito neanche l’annuncio.
“Brutta” racconta Francesca. “Vecchia. C’era un corridoio centrale, buio, e le stanze sui lati, abbastanza anguste. Era messa male, insomma, un po’ triste. Ci aveva vissuto una coppia di anziani, senza figli. Prima è mancata lei, poi lui, che nel tempo libero dipingeva. La casa era piena di libri e cataloghi d’arte e in quello che ora è lo studio, dove lui dipingeva, le pareti erano tappezzate di quadri, appesi anche al soffitto ad asciugare con un sistema di catenelle”.
Nonostante la casa fosse buia e tagliata alla vecchia maniera, entrambi avevano avuto una buona impressione. “Si sentiva che la casa aveva un’anima positiva” spiega Francesca. “È una cosa che ci viene detta spesso, tra l’altro: c’è un qualcosa di positivo qui dentro”. Confermiamo. Abbiamo avuto la stessa impressione non appena entrate.
Francesca e Stefano ne hanno viste poche altre prima di sceglierla.
“Avevamo notato che la luce entrava dal balcone” dice Stefano. “E abbiamo capito da subito che se avessimo buttato giù tutti i muri e aperto lo spazio sarebbe diventata luminosa”.
Sapevano da subito, insomma, come volevano trasformarla e io un po’ li invidio, visto che, nonostante per il mio lavoro io faccia grande affidamento sull’immaginazione, non sono mai stata in grado di visualizzare gli spazi diversi da quello che sono. Il progetto non è stato fatto da un architetto, ma da loro in persona. Vedendo le foto di com’era prima, rimaniamo ammirate.
“Quando la casa è messa così male è facile” dice Stefano, alzando le spalle “l’unica cosa che ti serve sapere è quali sono i muri portanti, per il resto butti giù tutto”.
“Il mattone viene da New York. Precisamente, da un cantiere che stava di fronte all'ex caserma dei pompieri che fu usata come sede dei Ghostbusters nel famoso film. Li buttavano, così ne abbiamo preso uno. Ci piaceva pensare che venisse proprio da là dentro! Ce lo siamo portati in valigia, insieme a una mazza da baseball. Abbiamo viaggiato leggeri, insomma".
La libreria di due editori
Il centro focale del salotto è senz’altro la libreria. La struttura sottile non appesantisce e dà valore al libro, mettendolo in primo piano. A una prima occhiata potrebbe sembrare un unico pezzo, invece è composta da due parti. Una di Stefano e l’altra di Francesca. Bisognerebbe conoscerli un po’ per indovinare dai titoli quale lato appartiene a chi, se non fosse per il malcelato indizio: gli oggetti che troneggiano in cima. Star Wars e fenicotteri ci sembrano segnali abbastanza evidenti, anche se loro giurano che la disposizione sia casuale. Forse a livello inconscio hanno posizionato ognuno i propri totem a custodire le loro letture? Chiediamo come dispongono i libri, visto che sono del mestiere. Francesca li ordina per editore. Stefano “secondo percorsi mentali suoi”. Cerchiamo di decifrarli, ma è impossibile.
La libreria di casa è la rappresentazione di chi vorresti essere ci dice Stefano, perché comprende non solo i libri che hai letto, ma anche quelli che vorresti leggere o vorresti aver letto o pensi che avresti dovuto leggere. Io e Bianca ci guardiamo cercando di seguire il filo del discorso… se ripenso alla Divina Commedia, Guerra e Pace o l’opera omnia di Nietzsche nella mia libreria, penso che in fondo abbia ragione.
Una casa, due anime
In epoca pre-covid sia Francesca che Stefano erano in ufficio tutta la settimana e la casa era il posto dove si rilassavano. Adesso, Francesca lavora nello studio. Quando sono entrambi a casa, la vivono in modo affiatato, quasi simbiotico. Abitano quasi sempre lo stesso spazio, anche se svolgono attività diverse. “Non avrebbe senso, per noi, farsi ognuno i cavoli propri” dice Stefano. “Quando finalmente siamo insieme”.
Nonostante parlino entrambi molto e spesso in modo concitato, riescono a non interrompersi mai. Questa armonia di coppia si riflette anche nella casa, dove due anime convivono tranquillamente pur essendo, a tratti, molto diverse.
A prescindere dai due filoni ludici - Star Wars e il mondo dei fumetti da una parte, fenicotteri e unicorni dall’altra - hanno entrambi un legame fortemente affettivo con gli oggetti. E l’ironia non manca mai. Li seguiamo per la casa, mentre ci raccontano i particolari. Vediamo il bagno (con Alda Merini e gli scheletri messicani), la cameretta/studio e la loro stanza.
“Questo è il nostro altarino delle offerte” racconta Francesca. "C’è la statua di San Gennaro, che ha regalato lo scrittore Pino Imperatore a Stefano, la bella ‘Mbriana protettrice della casa, gli angioletti che ci ha donato mio nipote. Quando abbiamo bisogno di ottenere qualcosa facciamo delle offerte, fiori, dolci o oggetti a cui teniamo in modo particolare. Una volta ci ho messo le chiavi della nostra casa al mare. Per esempio, ora c’è una rosa perché ho chiesto una cosa. Le richieste le facciamo separatamente, perché Stefano ha un modo di rivolgersi per me completamente sbagliato. Perde le staffe con loro se non ottiene quello che vuole!”
Le opere
Tutto quello che è appeso alle pareti di questa casa ha un significato. Ci sono ricordi di viaggio, come le stampe prese a Cuba, regali, illustrazioni e opere d’arte i cui autori sono amici.
“Quando incontro qualcuno che ha un talento o una passione” ci spiega Stefano, “gli chiedo sfacciatamente se mi regala un suo pezzo”.
Notiamo una poesia autografa di Alda Merini, un’opera di Sebastiano Vassalli (l’invito al suo matrimonio), un quadretto di Enrico Pandiani, un’illustrazione di Otto Gabos. "Nella cameretta/studio, che sta diventando la stanza dei fumetti” commenta Stefano, “ci sono un Manara e una tavola di Dylan Dog”.
Francesca e Stefano hanno rispettato il carattere della casa - gli infissi, i termosifoni, i tubi del riscaldamento a vista, le cornici delle porte - accostandogli però un’anima moderna, uno stile nordico eppure colorato. È una casa che è stata arredata col tempo e per loro non è ancora finita. Vorrebbero dipingere, per esempio, una parete della camera da letto. (Durante il tempo trascorso dalla stesura di questo articolo e la sua pubblicazione l’hanno fatto! E ve lo mostreremo a tempo debito)
“È un quadro dell’editore Luigi Spagnol, a cui sono molto affezionato. Luigi è mancato un mese dopo averlo terminato. Quando gli ho chiesto se mi regalava una sua opera lui ha acconsentito, a patto che gli facessi un mobile per il nuovo studio. Ho detto di sì, dimenticandomene subito dopo. Dopo qualche mese, Luigi mi ha avvertito nel bel mezzo di una riunione con molte persone che il suo quadro era pronto. Mi sono messo subito al lavoro e in una settimana gli ho costruito un mobile bellissimo, forse il più bello che io abbia mai fatto. Il giorno in cui gliel’ho consegnato è stata l’ultima volta che l’ho visto. Ma è un bel ricordo, perché era felicissimo”.
"Come vedete" ci dice Stefano, "questa tavola di Dylan Dog incorniciata è l’originale di una tavola andata poi in stampa con una piccola differenza… Riuscite a scovarla?"
Come un pranzo in famiglia
Il giorno successivo siamo ancora da loro per lo shooting. La conversazione riprende con naturalezza e una sorpresa: ci invitano a partecipare al loro pranzo della domenica. Ci accorgiamo che è quasi l’ora di mangiare quando suona il campanello e un fattorino recapita una bottiglia di bianco. È da parte di Giuseppe, il fratello di Francesca, che sta arrivando. Lavora per un’azienda di wine delivery e si è portato avanti con gli omaggi. In effetti, dopo una decina di minuti arriva anche lui. Basta distrarci un attimo a fotografare la camera da letto, che troviamo la tavola imbandita come se fosse festa. La tovaglia è stata confezionata dalla zia di Francesca. Pare che non fossero d’accordo sulla scelta del servizio di piatti e dei bicchieri, ma l’ha avuta vinta Stefano. Francesca era troppo intenta a cucinare. Antipasti e primo di pesce, contorni, vino, grappe fatte in casa. Anche se sono solo due giorni che siamo con loro, ci sentiamo già di casa, al punto che sappiamo dove sono le tazzine del caffè e aiutiamo a servirlo, bollente, con i brownies.
“Ricordo più bello che avrò di mio nipote" dice Francesca riferendosi all'enorme peluche rosa. "Ho raggiunto lui e il resto della famiglia in un ristorante per i miei quarant’anni. L’ho trovato seduto a capotavola abbracciato a questo fenicottero più grande di lui. Il suo regalo, comprato con la paghetta”.
Beviamo un ultimo caffè prima di salutarli. Li abbiamo sequestrati per un weekend, sottoponendoli anche alle torture dell’obiettivo fotografico, che non amano, ma non si sono mai lamentati. Sempre a disposizione, sempre presenti.
Saremmo potute stare ancora, tutto qui dentro ha un significato e una storia. Una casa fatta di dettagli che si aprono su mondi da scoprire.
"Adottate per un fine settimana", ci diciamo dopo averli salutati.
“Domattina ci sentiremo un po’ spaesate”.
“Ci mancheranno”.
Appassionati lettori: finalmente una vera soluzione alla pila di libri infinita sul comodino! Con lo scolapiatti di legno dell’Ikea riesci a tenerne tanti in poco spazio e sempre ben ordinati.
E ancora si parla di libri! Non poteva essere altrimenti, a casa di due editori. Anche i volumi di cui vorreste disfarvi possono tornare utili con un po’ di creatività. Stefano qui si è sbizzarito e per Francesca ha dato una seconda vita a questo vecchio libro. A noi piace tantissimo.
Francesca e Stefano vorrebbero, come tutti noi forse, apportare dei cambiamenti alla loro casa, far sì che continui a evolversi. Ma non hanno dei veri e propri problemi e come possiamo noi fare proposte in una casa come la loro, così personale? Allora, questa volta proponiamo qualcosa a voi. Avendoci molto incuriosito l'argomento delle case popolari, vi segnaliamo alcuni articoli interessanti:
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